23b) gestire le emozioni


 A che cosa servono le emozioni? Perché le emozioni ci aiutano a vivere meglio

Forse vi meraviglierà sapere che nei momenti più critici della vita sono le emozioni a guidarci nella gestione di un evento. È molto probabile che non ve ne siate accorti in quanto avete agito d’istinto prima che il pensiero si sia attivato, ovvero prima che abbiate registrato mentalmente l’evento. Ciò è spiegato dal fatto che l’amigdala, una zona del cervello preposta all’attivazione delle reazioni emotive, provvede a dare un segnale di allarme prima che lo stesso sia recepito come tale da quella parte del cervello che è invece deputata ad organizzare una risposta di tipo logico-razionale.
In una condizione che suscita la paura, lo stato di ansia e il suo vissuto fisiologico correlato (aumento del battito cardiaco e della sudorazione, riduzione del ritmo respiratorio, paralisi corporea), consentono di mobilitarsi per mettere in guardia dal pericolo. Quando per esempio sopraggiunge un’auto all’improvviso mentre si sta attraversando la strada, è la paura, avvertita come stato di ansia, che permette di salvarci arrestandosi in modo brusco.

I biologi evoluzionisti suppongono che reazioni di questo tipo siano diventate automatiche, perché hanno rappresentato meccanismi fondamentali di sopravvivenza per la specie umana. Così ogni emozione ci predispone ad agire in una direzione che in precedenza si era rivelata proficua e vantaggiosa rispetto allo stato per il quale è stata impiegata, così da gestire in tempo reale le situazioni d’emergenza, proprio come quando si ha paura.
La paura è uno dei retaggi emozionali più arcaici della nostra evoluzione, perché in passato ha permesso all’uomo di reagire secondo modelli di comportamento che hanno davvero fatto la differenza tra la vita e la morte. Basti pensare a un animale, che per sopravvivere si paralizza dal terrore, mimetizzandosi con l’ambiente circostante, quando avverte la presenza di un predatore.
Le emozioni hanno un ruolo specifico: orientare all’azione. Perciò sono indispensabili per la nostra esistenza.

La tristezza per esempio, permette di farci adattare ad una realtà come una perdita significativa, la fine di una relazione, la delusione di un’aspettativa, che abbiamo difficoltà ad accettare. Concedersi di entrare in contatto con la tristezza quando si è stanchi e abbattuti consente di riposarsi e rifugiarsi in un momento in cui si è più vulnerabili, per poi tornare più vigorosi ed energici. La tristezza è un’emozione che sottrae la forza necessaria ad intraprendere nuove imprese, pertanto se ascoltata, ci può impedire di evitare ulteriori fallimenti e nuove frustrazioni, finchè non avremmo recuperato le risorse adeguate per affrontare le sfide che ci si presentano. Nell’elaborazione di un lutto, per esempio, è di fondamentale importanza concedersi di piangere e di soffrire per la perdita della persona amata, affinchè questo diventi più tollerabile e ci si possa adeguare alla realtà.
Il pianto abbassa i livelli delle sostanze chimiche che innescano la sofferenza a livello cerebrale, portando il cervello a un livello di attivazione più basso, che induce al sollievo.
E per quanto cerchiate di reprimere il dolore, magari bloccando il pianto per paura di stare peggio, non troverete consolazione se non illusoria, perché quella tristezza, che sembra non avervi toccato, si è annidata da qualche parte e alla prima occasione che richiamerà un vissuto simile, si ripresenterà in modo ancora più dirompente.
Ho visto molte persone crollare per non aver sentito la delusione del fallimento di grandi progetti lavorativi, familiari, di studio, e che, per evitare di sentirsi sconfitte, hanno poi rinunciato al perseguimento di altri obiettivi e non sono potute ripartire con sufficiente sprint.
Così, anche quelle emozioni che ci sembrano spiacevoli e che di solito affrontiamo con ansia e paura, richiedono la nostra attenzione per poter essere alleviate.


Perche’ da adulti impariamo a ‘controllare’ le emozioni


Troppo spesso capita di mettere inconsapevolmente in ombra la nostra sfera emotiva. Ciò accade perché l’inclinazione ad esprimere le emozioni è fortemente condizionata dall’esperienza personale e dal contesto culturale cui si appartiene.
Secondo Sigmund Freud (1856-1939) il “disagio della civiltà” è derivato dal fatto che la società si è affermata, a un primo stadio, nella più completa libertà di manifestazione dei vissuti emotivi, per poi sperimentare una progressiva inibizione delle passioni, in nome dei vincoli sociali.
Il sopravvenire della civilizzazione ha ridotto la possibilità di disporre apertamente degli istinti primordiali, perché la predominanza dell’intelletto è stata imposta come prova del passaggio all’età adulta. L’aspetto emotivo resta tratto peculiare del bambino, al quale è consentito esprimerlo con assoluta naturalezza in virtù della sua immaturità.
Fino a quando siamo piccoli ci è dato il permesso di manifestare le emozioni, sebbene sia evidente come nel tempo la perdita delle caratteristiche tipicamente definite “infantili”, quali la spontaneità, l’immaginazione, l’espressione diretta dei sentimenti, devitalizzi l’individuo adulto. Pensate alla spontaneità del gesto con il quale i bambini salutano gli sconosciuti per la strada. Se voi andate ad una festa dove non conoscete nessuno, salutate tutte le persone che incontrate, anche se vi sono estranee?

Da adulti il senso di responsabilità e di aderenza esclusiva ai fatti concreti nonchè l’attuazione di comportamenti dettati da meccanismi razionali, vengono considerati abilità sane, che invece possono diventare nevrosi. Infatti, da un punto di vista emozionale, le sensazioni che l’uomo adulto ricerca sono le stesse emozioni che da bambino ha per natura e che più tardi tenta di rifuggire ripiegando su meccanismi nevrotici di evitamento, quali la cancellazione e la negazione di esse. Eppure il bisogno corrispondente a queste emozioni permane; si tratta delle emozioni cosiddette di sicurezza come l’autostimala motivazione (intesa come slancio a fare cose piacevoli), l’eccitazione (curiosità di esplorare), l’amorela gratificazione (equilibrio e pace date dall’apprezzamento di ciò che ci piace). Poi da adulti perdiamo questa spontaneità, a causa dei condizionamenti culturali o di ciò che ci viene insegnato come più giusto da fare e apprendiamo a tenere a bada ogni manifestazione del nostro sentire, per cui alcuni mascherano l’ansia con l’eccitazione, la vergogna con il sorriso, la paura mostrando arroganza o la tristezza fingendo indifferenza.

Ognuno di noi, nel tempo, ha adottato la strategia che gli è sembrata migliore o più utile a nascondere determinate reazioni, in virtù dell’atteggiamento che da bambino gli ha permesso di mostrarsi “bravo” con la mamma, per esempio non piangendo quando un bisogno era stato frustrato. Questa modalità, che era servita ad ottenere l’affetto ed evitare il rimprovero, nell’età adulta non è più funzionale e crea dei blocchi emotivi.
Per esempio, adottare la stessa strategia con il proprio partner, non solo non sortirà più lo stesso effetto, ma avrà come conseguenza il reprimere ciò che si prova e il mettere da parte i propri bisogni per assecondare quelli altrui.
Quella che viene comunemente definita persona “matura”, è spesso intrappolata in una fissità di schemi che, ormai divenuti abituali, hanno preso il sopravvento su quelli appresi durante l’infanzia.

Continua a leggere per scoprire che:

  • Ci vergogniamo di mostrare le nostre emozioni per paura di essere giudicati male
  • Anche un’emozione negativa come il dolore può diventare utile se accolta
  • Reprimendo le emozioni stiamo peggio
  • La psicoterapia può aiutarci a sentire emozioni come l’ansia e renderle utili
  • Le emozioni si riconoscono dai segnali corporei
  • Si può imparare a gestire la rabbia

 

Dunque non ci concediamo più di prestare la dovuta attenzione alle nostre emozioni, in quanto ci sembra inopportuno, poiché rischiamo di incrinare l’immagine che gli altri hanno di noi. Quante volte vi sarà capitato di rinunciare ad arrabbiarvi o farvi vedere tristi per paura della reazione altrui?

In genere, la risposta emotiva viene “processata” dai nostri stati mentali e adeguata a quello che ci sembra essere più congruo mostrare, anche in base alle regole di esibizione della nostra cultura di riferimento. Per esempio in Giappone ci si guarda bene dall’esprimere la propria tristezza a salvaguardia della propria immagine sociale. D’altra parte questa è una cosa che potete constatare voi stessi quando vedete qualcuno piangere. Le reazioni possono essere di diverso tipo: prendere distanza per incapacità di reggere l’emozione altrui o per paura di essere invadenti; fare finta di niente, perché la vicinanza ad una persona che soffre è giudicata come un gesto di estrema intimità che non è condivisibile con un estraneo; mostrarsi indifferenti perché altrimenti si dovrebbe prendere contatto con la propria sensazione di tristezza per effetto dell’immedesimazione; offrire un sostegno per essere entrati in empatia con l’altro. Soltanto l’ultima è una risposta emotiva adulta, perché tipica di chi ha imparato a entrare in contatto con le emozioni proprie e altrui e a saperle reggere.
Provare ed esprimere le emozioni non è sbagliato, è il modo di affrontarle che è sbagliato perché spesso sono giudicate come ostacoli al successo o come segni di debolezza.


Che succede se mi emoziono. Imparare a gestire le emozioni

Cosa ci svelano le emozioni? Perché occuparci delle nostre emozioni?
Imparare a riconoscere le proprie emozioni vuol dire anche saperle gestire e la gestione viene spesso erroneamente interpretata come controllo, mentre si tratta di diventare consapevoli di come le esprimiamo. Per esempio, molti di voi potrebbero scoprire che non esprimono mai la rabbia, magari la sentono ma non la mostrano per paura che l’altro si spaventi e lo abbandoni o perché li spaventa la reazione che loro stessi potrebbero avere.
Allora il più delle volte la rabbia si reprime o si trattiene, ma esprimerla può diventare molto utile; dipende da come viene manifestata.

Abbiamo già visto come di fronte a un’emozione spiacevole quale la tristezza, provocata da un momento di difficoltà o di crisi, si cerca di fuggire ma, se invece di resisterle si accoglie essa può salvaguardarci. L’esperienza del dolore ha in sé la radice per superarlo, in quanto è insita in essa un rinnovo della condizione umana, il che permette di gettare nuova luce sulle cose e dunque di avere una visione del mondo diversa. La sofferenza testimonia una volontà di vita nello sforzo di superarla e ci permette di sentirci vivi, oltre che di farci sentire il valore della vita stessa, dal momento che, quando soffriamo, inevitabilmente ci interroghiamo sul senso della vita e ci consoliamo pensando che prima o poi passerà, rinnovando in questo modo una promessa di felicità. Ogni volta che state male, avete soltanto due possibilità: sopperire al dolore e lasciarvi andare a una morte interiore, o sopravvivere e tornare a star bene.

Il dolore offre un’occasione unica di conoscenza e osservazione profonda di sé, attraverso la quale avvistare possibilità alternative

Naturalmente il dolore può diventare un’esperienza utile a seconda di come viene vissuta, colta come un’opportunità di rinnovo, oppure come fonte di autocommiserazione per il senso di ingiustizia subita. In tal senso vivere una sensazione come la tristezza diventa un’opportunità. In realtà è proprio innanzi alle emozioni spiacevoli, definite ‘impropriamente’ negative, che bisogna prestare la massima attenzione, perché se le evitate con l’intento di stare meglio, presto o tardi si ripresenteranno sotto forma di altri disturbi. Le emozioni a lungo inascoltate e respresse, tra l’altro possono diventare nocive fino a sfociare nella depressione nella misura in cui può essere definita come mancanza di contatto con le emozioni.

Il problema principale è che le persone hanno perso l’abitudine ad ascoltarsi, convinte che questo sia un vantaggio. In realtà quello che otteniamo è un cumulo di tensione e di frustrazione inespresse, che non ci fa esperire i nostri bisogni e dunque inibisce il nostro agire in direzione di ciò che desideriamo.
Con l’ausilio della psicoterapia le emozioni ci consentono piuttosto di diventare consapevoli di ciò che vogliamo.


Come la psicoterapia insegna a gestire le emozioni

La psicoterapia permette di riappropriarsi della capacità di “emozionarsi”. Il percorso è quello di sentire l’effetto che fa un dato vissuto, individuare cosa di quel vissuto ha generato la sensazione e riconoscere il bisogno a fronte del quale costruire una strategia per soddisfarlo. Se un’emozione di disagio nasce da un problema, non è risolvendo il problema che si risolve l’emozione; bisogna diventare consapevoli dell’emozione prima di organizzare la strategia d’azione. Non dimentichiamo che la stessa etimologia del termine, che deriva dal latino e (fuori) – moveo (muovo, metto in movimento), riconduce al concetto di tirare fuori quello che abbiamo dentro.
Se per esempio sono in ansia, posso accorgermene e individuare cosa mi genera l’ansia e poi fare qualcosa per star bene. Si potrebbe seguire un percorso del tipo:

  • Sono in ansia e quello che mi fa provare ansia è quella situazione con il capo che non mi piace, ma che dovrò affrontare. Ho paura di chiedergli un aumento anche se mi spetta e me lo aveva promesso. Temo che si possa arrabbiare e che poi possa pensare male di me, che sono un rompiscatole e che mi cacci via dal suo ufficio facendomi fare una figuraccia davanti a tutti.

  • Cosa voglio?

  • Non voglio stare così e, se non voglio provare l’ansia, come voglio sentirmi in questa situazione?

  • Voglio affrontare un confronto serenamente e, con calma, imporre i miei diritti avanzando la richiesta di ciò che mi serve.

  • E che posso fare per affrontare serenamente questo confronto dialettico?

 

Così la persona può essere ricondotta all’origine di quella emozione e trovare una modalità per gestirla. In questo caso il terapeuta può aiutare la persona a far emergere cosa lo fa sentire in ansia e individuarne l’oggetto, in modo da rendersi conto che non c’è niente da temere se riconosce il suo diritto a chiedere quello di cui necessita.

L’emozione richiama la nostra attenzione perché ci segnala l’emergenza di un bisogno, che continua ad essere presente finché non viene soddisfatto. In questi termini, l’emozione è una risorsa unica e specifica che ci indica ciò di cui abbiamo bisogno oltre a fornire spiegazioni su cosa è accaduto in una data situazione, come per esempio quando sono arrabbiato e ascolto la mia rabbia. Questa emozione mi può dire che ho subito un’ingiustizia e può darmi un indizio importante per come comportarmi la prossima volta che mi sentirò trattato ingiustamente. In questo caso, una volta compreso quello che mi ha fatto arrabbiare, saprò riconoscere anche quando mi verrà mancato di rispetto, e la volta successiva cercherò di far valere i miei diritti, invece di subire ancora.

Come si può notare, le emozioni e i bisogni sono strettamente correlati: in genere, dietro la rabbia, c’è un bisogno di riscattarsi da un’ingiustizia. La vergogna, per esempio, è legata al bisogno di essere accettati.           

                             
Riconoscere il vissuto corporeo delle emozioni

Daniel Goleman (1946) definisce intelligenza emotiva la capacità di gestire creativamente una situazione lasciandosi guidare dal proprio sentire. Possedere questa abilità consente di vivere coscientemente le proprie reazioni emotive agli eventi di ogni giorno e gestirle in maniera appropriata alle circostanze nelle quali si manifestano.
Per sviluppare l’intelligenza emotiva è necessario percepire i segnali corporei corrispondenti all’emozione che si sta provando. È essenziale operare un monitoraggio accurato delle sensazioni viscerali e notare quello che si avverte a livello corporeo, perché i sentimenti influenzano di continuo ciò che pensiamo e di conseguenza come ci comportiamo. 

La psicoterapia sviluppa e alimenta questa facoltà, in virtù del fatto che un addestramento “emozionale” costituisce la spinta interiore ad agire guidati dai nostri reali desideri.
Intraprendere un percorso di psicoterapia consente alla persona di gettare le basi per acquisire l’abitudine ad ascoltarsi e conoscere quello di cui ha realmente bisogno.
Il corpo, di cui facilmente ci si dimentica da un punto di vista spirituale, è il veicolo principale attraverso cui venire in contatto con le emozioni e, in quanto tale, rappresenta anche la fonte di ispirazione per il proprio benessere psico-fisico.


Imparare a gestire la rabbia

La rabbia è l’emozione più difficile da gestire, in quanto la sua espressione richiede una grande padronanza di sé, che viene comunemente chiamata autocontrollo e che non sempre si riesce a mantenere. Quando si è in collera infatti, si prova una sensazione di impotenza e di ingiustizia che viene vissuta come un attacco alla propria dignità. Per questo si manifesta in modo tanto dirompente e l’intensità del suo effetto è così imprevedibile da incutere timore. D’altra parte, la rabbia ci avverte che stiamo fronteggiando una situazione o una persona che sta violando i nostri confini e proprio per questo si rivela così violentemente da far immagazzinare al nostro corpo una quantità di energia e vigore che, se trasformati, ci permetterebbero di adottare virtù che in altre circostanze non crederemmo nemmeno di possedere, come quella di far rispettare dagli altri i nostri diritti.

Il problema nella gestione della rabbia è che la maggior parte delle persone cerca di tenerla a bada reprimendo l’irruenza del sentimento che scatena, invece di monitorare le sensazioni che stanno avendo il sopravvento e darsi il tempo necessario per riflettere sulla circostanza che l’ha provocata da un altro punto di vista, così da trovare delle alternative alla reazione che l’impulso suggerisce in quel momento. Mentre rimuginiamo sulle cause che l’hanno scatenata, per giustificarla e renderla accettabile, inneschiamo inconsciamente delle riflessioni che fungono da suo rinforzo piuttosto che da deterrente, perché i pensieri che facciamo su di essa finiscono con l’indurre a darle sfogo.
Occorre piuttosto chiedersi quale bisogno è stato ignorato e riconoscersi il diritto di farlo rispettare, per esempio imparando a dire no quando ci viene imposta una decisione che non condividiamo, che vuol dire attivarsi per ottenere quello che reputiamo sia giusto per noi.

La rabbia è una di quelle emozioni che se si ascolta può provocare dolore, ma solo nel caso in cui non ne facciamo nulla. Se la sappiamo usare, la rabbia può diventare una risorsa molto potente perché ha in sé una forza, ci sentiamo energici quando siamo arrabbiati.
Basta trasformare questa energia e saperla direzionare in qualcosa di più utile, impiegandola in un’attività ove questa possa dare un nuovo input, un nuovo slancio con cui affrontare una sfida. Se, per esempio, mi ritengo sfruttato sul lavoro perchè il capo non riconosce gli sforzi che faccio e non mi apprezza per le mie capacità, rispetto al collega raccomandato che fa molto meno di me e sento di essere davvero arrabbiato per questo, posso impiegare la mia rabbia per diventare competitivo e magari pensare di utilizzare le mie competenze altrove.
Se invece di ascoltarla la reprimo e mi impedisco di avvertire l’addome che si contrae e si restringe ogni volta che mi sento sminuire, proverò soltanto una forte angoscia che mi farà restare bloccato e mi farà assumere un atteggiamento remissivo, facendomi probabilmente cadere nel ruolo della vittima, cosa che non farà che peggiorare la mia situazione.

Analogamente, chi non controlla i segni della paura prova ancora più paura e chi non ha reazioni quando è sopraffatto dal dolore, perde la miglior occasione per uscire dallo stato di sofferenza e recuperare l’equilibrio e la serenità. La psicoterapia può insegnare a gestire le emozioni in maniera sana.

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